Giordano Bruno: il filosofo napoletano bruciato vivo dall’Inquisizione 17 Febbraio 2021 – Posted in: Biografie
“Con la lingua chiusa in una morsa affinché non possa parlare, il filosofo e scrittore Giordano Bruno viene condotto a Campo dei Fiori a Roma, denudato e arso vivo in esecuzione della condanna a morte per eresia inflittagli dall’inquisizione della Chiesa romana”
Giordano Bruno: il filosofo napoletano bruciato vivo dall’Inquisizione
Le sue ceneri non hanno mandato in fumo il suo pensiero. Giordano Bruno, infatti, è ancora oggi ricordato come uno dei maggiori filosofi del tardo Rinascimento italiano e una delle menti più spregiudicate dell’epoca.
Così spregiudicato da finire arso vivo per eresia: era il 17 febbraio del 1600.
Giordano Bruno era nato a Nola nello stesso mese del 1548 ed era molto fiero della sua terra natia, tanto da cominciare i suoi discorsi così: “Mi chiamo Giordano Bruno e sono cittadino nolano“.
Discorsi che tiene in quanto domenicano (prende i voti nel 1565) e in quanto lettore e professore di teologia presso le più prestigiose università cinquecentesche, quali Oxford, Parigi, Londra, Francoforte, Zurigo e Ginevra.
Le sue lezioni accorate e non convenzionali, però, oltre a un grande successo, gli procurano anche i primi guai con la Santa Inquisizione. È un confratello, nel 1576, a denunciarlo al Tribunale del Sant’Uffizio.
Per sfuggire alla condanna per eresia, ma anche a quella per omicidio del suo accusatore(delitto non confermato, ma non improbabile), Giordano Bruno lascerà l’abito domenicano.
Si accosta così al calvinismo, ma subisce una scomunica dai luterani.
È negli anni ’80 del ‘500 che il filosofo nolano mette per iscritto le sue idee e le sue teorie, dando vita ad una produzione molto fitta: sono del 1582 il De Umbris Idearum e soprattutto “Il Candelaio”, una commedia satirica – ambientata a Napoli e scritta in italiano – in cui condanna la società dell’epoca e che sarà tra le opere più contestate in seguito.
Due anni dopo pubblica i saggi “Della causa”, “De l’infinito” e la “Cena delle ceneri”. Mentre nel 1585 è la volta de “Gli eroici furori”, contenente la sua morale, perno di tutta la sua filosofia.
Bruno credeva nell’infinità del mondo e nel superamento dei dualismi. La prima, concezione cosmologica, e la seconda, concezione metafisica, trovano massima espressione proprio nell’eroico furore bruniano.
Qui il termine “furore” va inteso come “pazzia” , mentre “eros” assume un duplice significato: “eroico” e valoroso, ma anche nel senso di “erotico”. Per cui Giordano Bruno per eroici furori intendeva la tendenza mistica dell’uomo verso l’omoiosis theo,l’assimilazione a Dio.
Il filosofo riprende dalla tradizione platonica l’idea dell’ avvicinarsi sempre di più a Dio fino ad “indiarsi”, ovvero diventare quasi una sola cosa con Dio.
E sempre da Platone riprende anche l’idea che lo strumento di questo indiarsi sia contemporaneamente un fatto di ragione e di intelligenza da un lato, ma anche di volontà e di amore dall’ altro. Quello che è nuovo in Bruno è la concezione di quel Dio a cui l’ uomo è invitato ad assimilarsi.
Giordano Bruno: le idee che gli costarono la vita
Mischiando, però, teologia, magia e una forma di esoterismo, Giordano Bruno incappa per la seconda volta nelle mire dell’Inquisizione, a cui viene consegnato nel 1592 dal nobile veneziano Mocenigo, presso cui stava insegnando mnemotecnica. Dagli iniziali quattordici capi d’imputazione, si passò a sette, che gli furono comunque fatali. l’ex domenicano, ad esempio credeva nella salvezza dei demoni; riteneva buona e lecita la magia; considerava la Sacra Scrittura solo un sogno; accusava Gesù di non essere Dio, ma ingannatore e mago, e per questo ucciso a ragione; affermava che Mosè era un mistificatore; identificava lo Spirito Santo con l’Anima del Mondo e infine accusò i frati di essere ignoranti e sodomiti.
Torturato e tenuto in carcere per sette anni, dopo il continuo rifiuto dell’abiura, Giordano Bruno fu arso vivo in Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600. Queste le sue parole dopo la lettura della condanna: “Tremate più voi giudici nel proferire la sentenza, che non io nell’ascoltarla”.
(Fonte bit.ly/3apwH5n)