Katharine Hepburn: i 4 Oscar e il coraggio di un amore contro le regole 12 Maggio 2021 – Posted in: Biografie
La donna che portava i pantaloni a Hollywood, Katharine Hepburn, aveva manifestato già da bambina la predilezione quando a 9 anni si rasò i capelli e si calò nei panni del fratello maggiore e per un periodo volle chiamarsi Jimmy, perché pensava che i maschi avessero tutto e di più. Eravamo nel 1916 e lei già voleva essere un maschiaccio, «ma avevo creato Jimmy più che altro per gli altri, dentro di me non sono mai stata davvero Jimmy» avrebbe raccontato poi alla sua biografa Charlotte Chandlers, tanto per confondere ulteriormente i pensieri altrui su di lei e rendere ancora più mitica la storia della sua vita.
«Porto i pantaloni perché vivo come un uomo»
Una scelta, comunque, questa della piccola Katharine, non distante da quella di Shiloh, figlia di Angelina Jolie e Brad Pitt, e che tanto ha fatto scalpore ancora negli anni Dieci del secolo Duemila, quando a 8 anni ha cominciato a presentarsi a fianco di mamma e papà vestita da maschio e a voler essere chiamata John. D’altra parte anche Katharine Hepburn era nata in una famiglia poco convenzionale, per quanto affluente e wasp nell’America del Connecticut — urologo di fama il padre Thomas, femminista sostenitrice della contraccezione la madre Katharine — e da subito aveva con naturalezza deciso di vivere a modo suo, accompagnava mamma nelle manifestazioni distribuendo palloncini per il voto alle donne, eccelleva negli sport che il padre bulimico infliggeva a tutti e sei i figli, divenne una campionessa di golf ante litteram, e fu beccata all’università a fumare in stanza, tutto mentre continuava a portare i pantaloni non solo perché erano comodi, come avrebbe confessato poi a Barbara Walter in una delle sue rare interviste (era il 1991 e lei aveva 84 anni) ma perché «non aveva mai vissuto come una donna, sempre come un uomo».
Hepburn: una vita di successi e critiche, vissuta con caparbietÃ
Anticonformista, scelse la carriera e non i figli
Il suo anticonformismo e modernità di pensiero si infransero soltanto di fronte al tabù dell’epoca. Fra la carriera e i figli, lei scelse la carriera: «Sarei stata una madre terribile, sono troppo egoista».
E ne fu ripagata: quattro Oscar, sempre come miglior attrice, record ineguagliato al cinema. Per La gloria del mattino, 1934; Indovina chi viene a cena?, 1968; Il leone d’inverno, 1969; Sul lago dorato, 1982.
Ma questa scelta controcorrente, nonostante i sospetti dell’Hollywood a lei contemporanea sul suo lesbismo, non le avrebbe impedito di avere per breve tempo un marito, l’uomo d’affari Ludlow Ogden Smith al quale sempre per breve tempo la volitiva Katharine chiese di invertire il cognome per non dover, lei, chiamarsi Smith, e che la sostenne agli esordi; e poi una relazione non lunga ma intensa e solidale con il potente, geniale e capriccioso produttore-imprenditore Howard Hughes — cui poi DiCaprio dedicò un film con Cate Blanchett che con la parte di Katharine si aggiudicò un Oscar nel 2005 — e ancora anni di sodalizio amoroso e cinematografico con l’attore Spencer Tracy, incontrato su un set e mai più lasciato nonostante lui fosse sposato.
Ventisei anni di relazione segreta
Coppia forte sullo schermo e nella vita (durata 26 anni e nove film insieme, fino alla morte di lui nel 1967), in nome della quale Katharine, anticonvenzionale anche qui, accettò una relazione segreta, in quanto lui, cattolico, non voleva divorziare.
Per riuscire a imporsi come donna di fascino e a diventare attrice Katharine aveva dovuto faticare parecchio, tanto per cominciare aveva dovuto studiare non poco per addomesticare quella voce stridula, decisa, imperiosa. Ma per una come lei, allevata a libertà e autostima, alla fine l’impresa non era stata troppo ardua. Anche se ai suoi primi film i giudizi furono opposti.
Entusiasta e quasi rapito George Cukor, il regista di culto della commedia hollywoodiana, quando vide «quella strana creatura diversa da tutte le altre, talento puro in azione», volle dirigerla in parecchi film, da Febbre di vivere a Piccole Donne fino alla Costola d’Adamo. Caustica invece Dorothy Parker, critica brillante e tormentata protagonista della scena letteraria newyorchese, che dopo averla vista a teatro in Lake, mordacemente la liquidò con una battuta: «Copre tutta la gamma delle emozioni dalla a alla b».
Miss Arroganza contro le major
Decisa a gestire la sua carriera, Katharine la riprese in mano più volte, anche andando contro le major di Hollywood e diventando imprenditrice di se stessa, quando alla fine degli anni Trenta una serie di flop le guadagnarono nel mondo del cinema la fama di «veleno del Botteghino».
Improvvisamente era diventata antipatica, Miss Arroganza la chiamavano le colleghe e le sue idiosincrasie verso i giornalisti non l’avvantaggiavano certo: una volta le chiesero se avesse figli e lei, spiazzante: «Ne ho due bianchi e tre neri».
L’aiutarono per decollare di nuovo l’incontro sul set deLadonna del giorno con Spencer Tracy, l’uomo che come disse poi l’aveva aiutata molto, «semplificandola», e la sua continua voglia di sfida, di rimettersi in gioco; a 62 anni decise di affrontare il musical pur non essendo una cantante, prese lezioni sei giorni alla settimana per prepararsi e lì forse assaporò la gioia più grande: il pubblico correva a teatro a vederla nella vita di Coco Chanel; e finalmente l’amava di nuovo.
Una nomination a 87 anni
L’ultima apparizione fu nel film per la tv Un Natale, che le valse a 87 anni una nomination per i Sag Awards.
Ma la donna che aveva cambiato Hollywood e i copioni come nessun’altra continuò a nuotare e giocare a tennis fin quasi alla fine e sempre a Barbara Walters che le chiedeva se ancora si toccava la punta dei piedi rispose alzandosi dalla poltrona dello studio tv dove stava accoccolata come fosse a casa sua e piegandosi in avanti portò a terra non solo la punta delle dita, ma l’intero palmo della mano.
Quando, nel 2003, 15 anni fa, Katharine morì, George W. Bush disse che l’America «l’avrebbe ricordata come un tesoro della patria».
(Fonte bit.ly/2SBq5KG)