Pirandello – Vita Segreta 9 Ottobre 2024 – Posted in: Biografie, Lo Sapevi che – Tags: , , , , ,

Il Genio Tragico di Luigi Pirandello: Una Vita Definita dall’Ironia

Immaginate: una mente brillante intrappolata in un mondo di caos, un uomo la cui vita divenne l’incarnazione stessa dell’assurdità teatrale che rappresentava nelle sue opere. Questa è la storia di Luigi Pirandello, il drammaturgo, romanziere e poeta italiano che rivoluzionò il teatro moderno e ci diede una nuova lente attraverso cui vedere la realtà.

Un Inizio Siciliano

Nato il 28 giugno 1867 in una campagna vicino a Girgenti (l’odierna Agrigento), in Sicilia, il destino di Pirandello era segnato dal dramma fin dall’inizio. Figlio di un proprietario di miniere di zolfo, crebbe in una terra nota per la sua bellezza aspra e la sua storia complessa. Il giovane Luigi non poteva immaginare che le sue radici siciliane sarebbero diventate il terreno fertile da cui sarebbero germogliate le sue più grandi opere.

L’Amara Ironia dell’Amore

Ah, l’amore! Quella cosa che dovrebbe portare gioia divenne la più grande fonte di angoscia per Pirandello. Nel 1894, sposò Antonietta Portulano, un’unione che all’inizio sembrava promettente. Ma il destino aveva in serbo una crudele svolta del destino. Nel 1903, il crollo finanziario della famiglia a causa dell’allagamento della miniera di zolfo del padre segnò l’inizio di una tragedia personale. Antonietta, sopraffatta dallo shock, sviluppò una grave malattia mentale che la consumò per il resto della sua vita.

Immaginate il tormento di Pirandello: vivere con una donna che lo accusava costantemente di tradimenti immaginari, che lo stringeva in abbracci violenti nella notte, chiedendogli di dimostrare il suo amore. La camera da letto, un tempo rifugio di intimità, si trasformò in un palcoscenico per il dramma più doloroso della sua vita.

L’Arte Nata dal Dolore

È da questa fornace di sofferenza che nacque l’arte più potente di Pirandello. Le sue opere – “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Enrico IV”, “Il fu Mattia Pascal” – sono intrise di un’amara comprensione della natura illusoria della realtà e dell’identità. Pirandello scrisse: “Io penso che la vita è una molto triste buffoneria”. Queste parole non erano mera filosofia, ma il grido di un’anima tormentata.

«Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”.» (Luigi Pirandello)

Un Lascito di Maschere

Pirandello ci ha lasciato un lascito di personaggi che indossano maschere, lottando per capire chi sono veramente sotto la superficie. Non è forse questa la lotta di ogni essere umano? Non indossiamo tutti maschere, cambiando ruoli come attori su un palcoscenico?

La genialità di Pirandello sta nel modo in cui ha trasformato il suo dolore personale in arte universale. Ci ha mostrato che la vita è davvero un teatro, e noi siamo tutti attori, a volte consapevoli, a volte ignari del nostro ruolo.

L’Eredità di un Genio

Oggi, più di 150 anni dopo la sua nascita, le opere di Pirandello continuano a risuonare. In un’epoca di identità fluide e realtà virtuali, le sue domande sulla natura dell’io e della realtà sono più pertinenti che mai.

Ricordiamo Pirandello non solo come un grande drammaturgo, ma come un uomo che ha avuto il coraggio di guardare nell’abisso della condizione umana e di riportarne verità scomode ma necessarie. La sua vita, con tutte le sue contraddizioni e sofferenze, è diventata l’opera d’arte più grande e più tragica di tutte.

Mentre riflettiamo sulla vita e l’opera di Pirandello, chiediamoci: quali maschere indossiamo noi? E cosa troveremmo se avessimo il coraggio di toglierle?

Autoritratto

«Sono nato in Sicilia, e precisamente in una campagna presso Girgenti, il 28 giugno del 1867. Venni a Roma la prima volta nel 1886 e vi stetti due anni. Nell’ottobre del 1888 partii per la Germania e vi rimasi due anni e mezzo. Mi laureai là, all’Università di Bonn, in lettere e filosofia. Nel 1891 ritornai a Roma, e non me ne son più mosso. Insegno, purtroppo, da 15 anni Stilistica nell’Istituto Superiore di Magistero Femminile. Dico purtroppo, non solo perché l’insegnamento mi pesa enormemente, ma anche perché la mia più viva aspirazione sarebbe quella di ritirarmi in campagna a lavorare. Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto, e m’accompagno, se mi capita, con qualche amico. Non vado che rarissimamente a teatro. Alle 10, ogni sera, sono a letto. Mi levo la mattina per tempo e lavoro abitualmente fino a mezzogiorno. Il dopo pranzo, di solito, mi rimetto a tavolino alle 2 e mezza, e sto fino alle 5 e mezza; ma, dopo le ore della mattina, non scrivo più, se non per qualche urgente necessità; piuttosto leggo o studio. La sera, dopo cena, sto un po’ a conversar con la mia famigliuola, leggo i titoli degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto. Come vede, nella mia vita non c’è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che… non sono lieti. Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vitaCosì è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno. Questa, in succinto, la ragione dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita

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