I Mostri dell’Antica Roma: Il Crudele Destino dei Disabili 3 Marzo 2025 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: , , , ,

L’antica Roma, celebrata per le sue innovazioni architettoniche, il suo sistema giuridico e le sue conquiste militari, nascondeva un lato oscuro nel suo trattamento delle persone con disabilità.

Come studioso dedicato all’analisi delle pratiche sociali romane, ho scoperto che il modo in cui questa civiltà trattava i suoi membri più vulnerabili rivela aspetti inquietanti della loro mentalità collettiva.

Nell’antica Roma, la percentuale di persone con disabilità era significativamente più elevata rispetto ai nostri tempi moderni.

Questo non dovrebbe sorprendere considerando l’assenza di cure mediche avanzate, le guerre frequenti, le condizioni igieniche precarie, la malnutrizione cronica e la pratica diffusa dei matrimoni tra consanguinei nelle famiglie patrizie.

La società romana doveva quindi confrontarsi quotidianamente con un numero considerevole di individui con varie forme di disabilità.

“Monstrum”: una parola che condanna

Un elemento rivelatore dell’atteggiamento romano verso la disabilità risiede nella terminologia. È significativo notare che il latino non possedeva un termine specifico equivalente al nostro “disabile”.

Invece, le persone con disabilità venivano comunemente etichettate come “monstrum” – la stessa parola utilizzata per descrivere le creature mitologiche e mostruose.

Questa scelta linguistica non era casuale, ma rifletteva una visione profondamente discriminatoria che relegava queste persone ai margini della società, considerandole esseri “contro natura”.

L’infanticidio legalizzato: una pratica raccapricciante

Durante i primi secoli della Repubblica Romana, le evidenze storiche suggeriscono che l’abbandono o l’uccisione di neonati con disabilità fosse non solo tollerato, ma addirittura incoraggiato.

I romani, profondamente superstiziosi, interpretavano la nascita di un bambino con disabilità come un presagio nefasto – un “prodigium” o segno divino di imminente sventura per la famiglia e potenzialmente per l’intera comunità.

Un aneddoto particolarmente rivelatore ci giunge dagli scritti di Dionisio di Alicarnasso, che attribuisce allo stesso Romolo, il fondatore mitologico di Roma, la seguente disposizione:

“Romolo ordinò a tutti i cittadini di allevare ogni figlio maschio e di non uccidere nessun bambino al di sotto dei tre anni, a meno che il bambino non fosse disabile dalla nascita.”

Questa mentalità trovò codificazione legale nelle famose Leggi delle XII Tavole (450 a.C.), il primo corpo giuridico scritto romano, che stabilivano esplicitamente:

“Il pater familias deve uccidere rapidamente un bambino terribilmente deformato.”

Il termine latino originale “cito necatus” (rapidamente ucciso) non lascia spazio a interpretazioni ambigue sulla brutalità di questa pratica.

Deformità come spettacolo: il crudele mercato dell’intrattenimento

Un aspetto particolarmente disturbante della società romana era la mercificazione delle persone con deformità fisiche.

I ricchi patrizi romani spesso acquistavano schiavi con corpi atipici per esporli come curiosità durante i banchetti o come intrattenimento per gli ospiti.

Questi individui, chiamati “moriones”, venivano ridotti a oggetti di derisione e divertimento.

Seneca il Giovane, filosofo stoico, racconta nelle sue lettere di un banchetto dove venne presentato un nano di nome Conopas, alto appena 66 centimetri, accompagnato da una donna minuscola chiamata Andromeda, entrambi proprietà della nipote di Augusto, Giulia.

Questi individui erano costretti a esibirsi come buffoni di corte, privi di qualsiasi dignità umana.

Il cambiamento graduale nell’era imperiale

Nonostante questo quadro desolante, è importante notare che l’atteggiamento romano verso la disabilità subì un’evoluzione significativa durante l’era imperiale.

Intorno al 200 d.C., il celebre giurista Ulpiano formulò un principio rivoluzionario:

“I genitori dovrebbero assumersi la responsabilità del proprio figlio anche se avesse una deformità.”

Questa dichiarazione segnò l’inizio di un cambiamento di paradigma nella percezione della disabilità.

Inoltre, con la diffusione del Cristianesimo all’interno dell’Impero, emerse gradualmente una nuova etica della compassione che iniziò a sfidare le pratiche più crudeli, sebbene il pregiudizio rimanesse profondamente radicato.

Il caso peculiare dell’imperatore Claudio

Un caso di studio affascinante è rappresentato dall’imperatore Claudio (41-54 d.C.), che presentava probabilmente una forma di paralisi cerebrale con zoppia, tremori e difficoltà di eloquio.

La sua famiglia, profondamente imbarazzata dalla sua condizione, lo tenne nascosto durante l’adolescenza, escludendolo dalla vita pubblica.

La madre di Claudio, Antonia Minore, lo definiva crudelmente “un mostro umano, iniziato dalla natura ma mai completato.”

Ironicamente, furono proprio le sue presunte incapacità a salvargli la vita durante le purghe di Caligola, poiché non veniva considerato una minaccia.

Divenuto imperatore quasi per caso, Claudio si rivelò uno degli amministratori più competenti di Roma, promuovendo importanti opere pubbliche e riforme legislative.

La sua storia rappresenta un potente controesempio alla visione romana predominante sulla disabilità.

Riflessioni conclusive: un cammino verso l’umanità

Analizzando l’evoluzione dell’atteggiamento romano verso la disabilità, possiamo tracciare un arco che va dall’orrore superstizioso e dalla crudeltà istituzionalizzata verso un lento riconoscimento dell’umanità delle persone con disabilità.

Questo percorso riflette una tensione costante tra la rigida utilità sociale dello Stato romano e l’emergere di valori orientati alla dignità individuale.

La storia del trattamento delle persone con disabilità nell’antica Roma ci offre uno specchio inquietante per esaminare i nostri valori contemporanei.

Se da un lato possiamo legittimamente celebrare il progresso compiuto, dall’altro questo confronto ci ricorda quanto sia recente e fragile la nostra comprensione moderna della dignità umana universale.

Il viaggio dall’etichetta di “monstrum” al riconoscimento della piena umanità è stato lungo e tortuoso, e merita di essere ricordato non solo come curiosità storica, ma come monito permanente contro la disumanizzazione del diverso.

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