Me’ sento ‘nzuarato, trivulo e… zandraglia! 2 Settembre 2024 – Posted in: Modi di dire – Tags: #CuriositàNapoli, #dialettonapoletano, #LinguaViva, #napoli, #PatrimonioCulturale, #storia, #tradizione, #Unesco, cultura
Me’ sento ‘nzuarato, trivulo e… zandraglia!
Il Fascino del Dialetto Napoletano tra Storia e Curiosità
Il dialetto napoletano è una vera e propria miniera di tesori linguistici, un mosaico di parole che affondano le loro radici in epoche e culture diverse.
Ogni termine racconta una storia, un intreccio di influenze che spaziano dal greco al latino, passando per il francese e lo spagnolo, fino a formare un lessico unico nel suo genere, tanto affascinante quanto complesso.
Oggi ci soffermeremo su tre parole particolarmente interessanti e curiose: ‘nzuarato, trivulo e zandraglia.
‘Nzuarato: Il Sapore della Tradizione
Il termine ‘nzuarato, che deriva dal verbo ‘nzuarà, significa “allappare”, ovvero quel fastidioso effetto che alcuni frutti causano in bocca quando non sono ancora del tutto maturi.
L’origine della parola è legata al cachi, frutto conosciuto anche come “legnasanta” a causa della sua forma interna che ricorda la croce di Cristo.
Ma perché ‘nzuarato?
Perché il sapore legnoso e la consistenza spugnosa del frutto acerbo richiamano l’idea di qualcosa di insugherato, legnoso, appunto. È un termine che evoca non solo il gusto, ma anche un senso di fastidio e di imperfezione, proprio come quella sensazione di aver “masticato legno”.
Trivulo: La Spina nel Cuore
Trivulo è una parola che, solo a pronunciarla, sembra trasmettere un senso di afflizione e disagio. Originariamente, il trivulo era un arnese da pesca con tre punte affilate, utilizzato per catturare pesci, ma nel tempo il termine ha assunto una connotazione più dolorosa.
Derivato dal latino *tribulum* e dal greco *tríbolos*, oggi trivulo indica una persona che fa soffrire gli altri, una sorta di spina nel cuore. E non è un caso che la parola richiami anche le sofferenze di Cristo, trafitto dalle spine durante il suo calvario.
In effetti, il termine è spesso utilizzato in proverbi come “In ammore nun teme’ ‘o trivulo, ma ‘a stanchezza!”, che ci ricordano che in amore, più che la sofferenza, è la stanchezza il vero nemico.
Zandraglia: L’Anima delle Chiassose
Zandraglia, una parola che suona quasi musicale, nasconde un significato meno lusinghiero. Derivata dal francese “les entrailles”, che indicava le donne volgari e vocianti che si contendevano le interiora degli animali fuori dalle cucine reali, zandraglia è arrivata a definire una donna incline ai litigi e al pettegolezzo.
Col passare del tempo, il termine è stato associato alle donne che ripulivano i campi di battaglia o i luoghi delle esecuzioni capitali, dividendo tra loro i resti per rivenderli.
Oggi, zandraglia è utilizzato per descrivere una persona, soprattutto una donna, di bassa condotta e chiassosa, ma anche qui troviamo un intreccio con la cucina: il piatto delle zandraglie, un dolce di tradizione campana che affonda le sue radici proprio in questa terminologia.
Conclusione: Un Viaggio nelle Parole
Il dialetto napoletano, protetto dall’UNESCO, è un patrimonio immenso di storia e cultura, capace di raccontare secoli di dominazioni e influenze con una semplice parola.
Ogni termine porta con sé un pezzo di passato, un racconto che va oltre il significato letterale per immergersi nelle profondità delle tradizioni e delle credenze popolari.
Quindi, la prossima volta che sentirai dire “Me’ sento ‘nzuarato, trivulo e… zandraglia!”, saprai che dietro queste parole si nasconde molto più di un semplice stato d’animo: c’è una storia fatta di popoli, culture e, soprattutto, di una lingua viva che continua a raccontare e affascinare.
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