GIOCHI DI PAROLE 9 Luglio 2020 – Posted in: Momento Ludus – Tags:

PAROLE, PAROLE, PAROLE

1. Definizione

Gioco di parole è un’espressione comune di significato non univoco che viene impiegata anche in contesti tecnici.

In senso generico, per gioco di parole si intende l’attività verbale (e il suo risultato) in cui alle regole sintattiche della costruzione del discorso si sovrappongono o si sostituiscono principi alternativi, che non sono codificati o lo sono solo in settori particolari (➔ enigmistica) e risultano fondati su fenomeni linguistici non denotativi (come la somiglianza casuale fra le parole, la combinatoria, la falsa derivazione, ecc.).

Per gioco di parole in senso ristretto si intende invece il gioco che ricorre nel discorso soprattutto orale, e si basa su fenomeni di assonanza, consonanza, allitterazione e paronomasia (➔ bisticci di parole) o di ambiguità semantica (il cosiddetto doppio senso). Nell’oralità, il gioco di parole si caratterizza per spontaneità e libertà da norme e ha un costante effetto di abbassamento del registro, sino a diventare una tecnica frequente del discorso comico; nella scrittura, invece, il gioco di parole tende a generare vincoli che mettono in luce il virtuosismo del suo autore, sia in campo propriamente letterario sia nello specifico campo enigmistico.

La differenza tra giochi di parole in senso stretto e in senso generico corrisponde solo parzialmente a quella tra manifestazione orale o scritta, quindi sarà più prudente attenersi a categorie aperte, come primo livello e secondo livello.

2. Giochi di parole di primo livello

I giochi di parole di primo livello contengono per intero la gamma dei giochi di parole in senso ristretto, oltre a fenomeni di tipo diverso. La loro caratteristica comune è l’estemporaneità: senza che nulla lo annunci e senza che alcun accordo venga proposto o pattuito tra gli interlocutori, un incidente interrompe il flusso del discorso, della conversazione o del testo. È una decisione unilaterale di chi, avendo la parola, improvvisamente la impiega in modo non convenzionale ottenendo innanzitutto, il più delle volte, un effetto di sorpresa. Spesso questa rottura della convenzione pragmatica è solo momentanea e viene immediatamente riparata; non è impossibile che resti persino inavvertita dall’interlocutore o che venga attribuita da costui a una défaillance nella competenza linguistica del parlante (per es., a un lapsus).

Non convenzionale è, per es., l’invenzione linguistica in cui il parlante commuta il codice dalla lingua che condivide con il suo interlocutore in un linguaggio indeterminato, secondo le modalità del ➔ grammelot teatrale. Nel discorso quotidiano è difficile che si verifichi un’eventualità del genere, che viceversa non è infrequente nel linguaggio infantile («Ambarabà ciccì coccò / tre civette sul comò»; ma sull’invenzione linguistica si veda Bausani 1974) e nella letteratura per l’infanzia («Supercalifragilistichespiralidoso»), nonché nella letteratura tout court (il dantesco «Pape Satan, Pape Satan Aleppe», Inf. X, 1).

Esistono anche esempi di invenzione linguistica che pertengono al secondo livello, a partire dall’esperanto: qui il linguaggio inventato è dotato di proprie regole sintattiche e può essere tradotto ovvero decrittato (Albani & Buonarroti 1994).

Più comuni nel discorso quotidiano sono giochi di mescolanza linguistica, di salto di registro e di deformazione, che corrispondono a invenzioni linguistiche moderate. Nella mescolanza linguistica, a una lingua di base che fornisce le strutture fonetiche, lessicali e sintattiche fondamentali si aggiungono e incastonano esecuzioni fonologiche, scelte lessicali e costruzioni provenienti da una lingua diversa o da un dialetto o da un gergo (si vedano: Primo Levi, Argon; Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny; Luigi Meneghello, Libera nos a Malo).

L’effetto straniante che deriva da tali performance plurilingui è analogo a quello che, appena attenuato, deriva dal fenomeno del salto di registro, in cui il parlante scarta per es. dal linguaggio comune a un linguaggio settoriale (burocratico, specialistico, aulico; ➔ Carlo Emilio Gadda, inizio dell’Incendio di via Keplero: «Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco»), o da un linguaggio di registro medio al turpiloquio (Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia: «… per venire ammessi con sussieghi e vaffanculo»).

Abbiamo poi le deformazioni, spesso ma non esclusivamente di tipo fonologico: specialmente esecuzioni dialettali di fonemi (come Cràcchesi per Craxi), spesso esasperate dai comici; ipercorrettismi nella pronuncia o nella morfologia (per es., la messa al plurale di prestiti dall’inglese, bars, sports, pullmans nelle trasmissioni comiche di Renzo Arbore), vezzi verbali che ricorrono e marcano l’idioma particolare di un comico (come Eminems di Luciana Littizzetto).

A questa categoria di giochi di primo livello appartiene anche l’inserzione nel discorso dei cosiddetti tormentoni: parole, espressioni o frasi che provengono dalla koinè mediatica (programmi televisivi, pubblicità, comici famosi) e risultano a disposizione del parlante con l’immediatezza che un tempo avevano i ➔ proverbi. Dai proverbi, però, i tormentoni si distinguono poiché non costituiscono affermazioni ma allusioni, e inoltre poiché non si riferiscono alla condivisione di un universo di valori tradizionali ma alla condivisione di un universo di intrattenimento e svago. I proverbi hanno un senso, i tormentoni molto spesso si limitano a indicare la comune passione degli interlocutori per un comico, o la comune conoscenza di uno spot pubblicitario.

Passando da tali forme di giocosità diffusa ed estemporanea ai giochi di parole in senso stretto, occorre registrare preliminarmente la loro sostanziale coestensione con il dominio dei motti di spirito e con il dominio dei lapsus. La differenza tra i diversi ambiti è puramente pragmatica (la presenza di un effetto arguto, l’intenzionalità), mentre i fenomeni formali coinvolti – sintattici e semantici – non sono distinguibili.

I dizionari definiscono il gioco di parole come un sinonimo di bisticcio o di doppio senso e freddura. L’unica caratteristica comune a tutti i fenomeni che si possono riportare al gioco di parole in senso stretto è una sorta di ‘sdoppiamento’, non molto meglio denominabile e a cui diversi teorici si sono riferiti con etichette come ambiguità, ambivalenza, bisociazione, condensazione, spostamento, bi-isotopia e simili. Possiamo per es. avere due parole simili nel suono, una delle quali viene accostata (gioco di parole in praesentia, come nel bisticcio: amore amaro) o sostituita all’altra (gioco di parole in absentia, come nella modificazione di modi di dire: «il più grande poeta italiano morente», attribuita a Ennio Flaiano con riferimento a Vincenzo Cardarelli). In altri casi possiamo avere una parola che ha due significati differenti, in un contesto in cui l’interlocutore è chiamato ad applicarli entrambi («È scattata l’ora legale. / Panico tra i socialisti», titolo apparso sul giornale satirico «Cuore»).

La somiglianza dei suoni in praesentia realizza diverse figure, spesso ricorrenti anche in poesia e nel folklore verbale, come la rima, l’assonanza, la consonanza, l’allitterazione, la paronomasia. Sulla tassonomia delle somiglianze tra le parole non esiste un consenso generalizzato tra gli studiosi di retorica (anche perché spesso vengono confusi criteri di classificazione diversi: tipo di somiglianza fra due parole, loro posizione all’interno della frase o del verso, loro eventuali rapporti grammaticali, loro eventuali rapporti etimologici).

Date due parole che appaiono somiglianti all’orecchio, è possibile una classificazione del tipo di somiglianza considerando quali elementi delle parole sono identici e quali sono diversi. Questi i casi principali:

(a) identità delle vocali, diversità di una o più consonanti: assonanza («volere è potere», proverbio);

(b) identità delle consonanti, diversità di una o più vocali: consonanza («volere è volare», proverbio);

(c) identità dei fonemi al principio della parola: allitterazione («brutta bestia», modo di dire);

(d) identità dei fonemi al termine della parola (a partire almeno dalla vocale tonica): rima («… vita / … smarrita»);

(e) identità di un numero rilevante di fonemi, anche in ordine diverso nelle due parole: paronomasia («da immani fumi / minimali arrosti», Franco Fortini).

Un altro fenomeno complementare, che di per sé contribuisce solo debolmente alla somiglianza ma può rendere più evidenti i tipi di somiglianza già elencati, è il parallelismo o isocolia: l’identica lunghezza di due parole o stringhe linguistiche, calcolata in fonemi o in sillabe (o in grafemi, per quanto riguarda la lingua scritta).

L’apparente linearità di un tale schema è però complicata dall’applicazione dei medesimi nomi a figure diverse (per es., per assonanza si intende anche l’identità delle vocali solo al termine della parola) e anche dal carattere imprecisato di alcune definizioni (come, per la paronomasia, il «numero rilevante» di fonemi). Infine, tutti questi fenomeni si possono realizzare anche fuori dai limiti della singola parola (per es., nella rima franta), ciò che rende ancora più arduo ogni tentativo di formalizzazione stringente.

Nel caso della somiglianza in praesentia si può avere un accostamento immediato e a contatto, oppure un accostamento a distanza, che spesso riguarderà luoghi privilegiati del testo (la fine del verso o dell’emistichio; la fine del periodo, in prosa).

Nel caso della sostituzione in absentia, l’importante è che il contesto evochi con immediatezza la parola sostituita, cosa che può solo essere assicurata dal contesto. Nel titolo del libro del comico Daniele Luttazzi, Va’ dove ti porta il clito (1996), il titolo parodiato (Va’ dove ti porta il cuore, il noto romanzo di Susanna Tamaro, 1994) ha come unici parametri di somiglianza la debole allitterazione del solo fonema iniziale (clito / cuore) e il parallelismo dei due sostantivi bisillabici. In altri giochi, come quello narrato da Arbasino in Fratelli d’Italia, vengono evocati modi di dire e titoli («Il cielo in una stanza»; «toccare il cielo con un dito»): in un gioco di società, ogni partecipante deve sostituire solo mentalmente il lessema cielo, che compare in ogni espressione ricordata, con il lessema culo. Il gioco non è esplicito (l’isotopia oscena resta segreta), ma si fonda sulla consonanza moderata cielo / culo e certamente sullo scarto di registro tra un termine tipico del linguaggio poetico midcult e uno dei termini di turpiloquio più frequenti nella lingua e nel gergo italiani.

La sostituzione in absentia non sempre richiede, in realtà, una somiglianza fonica tra termine proprio e termine vicario. La densità del luogo comune può essere tale da farlo evocare anche all’interno di modificazioni radicali: nel frequente uso giornalistico conseguente al successo del titolo del romanzo Cronaca di una morte annunciata, ai sostituti del termine morte non è mai stata richiesta una particolare somiglianza al modello sostituito perché la nuova formazione fosse ritenuta efficace (cronaca di una crisi annunciata, cronaca di un matrimonio annunciato, cronaca di una svolta annunciata, ecc.). È questo uno dei casi in cui ad essere lievemente modificato non è il lessema, ma il modo di dire che lo accoglie, potendo considerare, grazie alla sua forza coesiva, tale modo di dire come un intero.

Due parole diverse possono anche fondersi in una sola, secondo la modalità condensativa del calembour (familionari per familiari e milionari). Da questa modalità derivano i giochi di falsa etimologia, in cui una parola viene interpretata secondo un’analisi intenzionalmente erronea e arguta delle sue componenti («salvatico è chi si salva», aforisma di Leonardo da Vinci).

La seconda, fondamentale procedura dei giochi di parole in senso stretto è costituita dalle diverse forme che possono essere prese dalla doppia significazione. Qui a variare non è più, sia pure di poco, l’espressione ma, a parità di espressione, il contenuto. Polisemia, omonimia e ambiguità normalmente risolte dal contesto ne risultano invece esaltate. Nell’interpretatio nominis («Oh padre suo veramente Felice! / oh madre sua veramente Giovanna, / se, interpretata, val come si dice!», Dante, Par. XII, 79-81) il riferimento del nome proprio a una data persona deve essere integrato con il significato che ha come parola della lingua (Giovanna valeva per gli etimologisti dell’epoca Domini Gratia, ossia «grazia del Signore»).

La doppia significazione (cioè l’ambiguità semantica) è il procedimento fondamentale per l’enigmistica italiana cosiddetta classica. La doppia significazione è considerata da molti teorici più nobile ed efficace della rassomiglianza parziale; Sigmund Freud la colloca in una fase più evoluta della «psicogenesi del Witz». Rispetto ai giochi di rassomiglianza parziale ha però il problema di non essere esplicitamente denunciata e quindi di dare luogo a interpretazioni più dubbie da parte dell’interlocutore. Infine, per quel fenomeno che lo stesso Freud identificava come «latenza del discorso osceno», per doppio senso si intende specialmente un gioco di parole che allude a contenuti osceni.

Sulla frontiera tra gioco di parole intenzionale e inconscio troviamo due fenomeni. Il primo è il lapsus volontario. Si ha, per es., nella deformazione del nome (si pensi alla gag di Totò e l’onorevole Trombetta nel film Totò a colori), che si può fingere sia involontaria, data la coincidenza dei meccanismi di lapsus e gioco di parole. Il secondo fenomeno, simmetrico al primo, è il gioco di parole involontario, che si ha quando nel flusso del discorso capita di accostare involontariamente due parole simili (per bisticcio o per rima) e ce ne si scusa: una dimostrazione dell’abbassamento del registro del discorso che viene causato da ogni gioco di parole.

3. Giochi di parole di secondo livello

Dal punto di vista della classificazione dei giochi di Roger Caillois (1958), il gioco di parole di primo livello corrisponde alla polarità della paidìa: giochi di fantasia e di dissipazione di energia, a basso tenore normativo e ad alto potenziale umoristico. La polarità opposta, detta del ludus, perde tutta la sua estemporaneità e gran parte delle sue connotazioni argute. Roger Caillois poneva a questo estremo giochi astratti e strategici come gli scacchi; nel settore linguistico Giampaolo Dossena (2004) preferiva parlare di «giochi con le parole» proprio per separare quest’altro genere di giochi da quelli che si possono confondere con i «bisticci».

Nei giochi di secondo livello si entra, consapevolmente e in accordo con gli altri interlocutori, attraverso una cornice costituita da regole certe e condivise. Che si tratti di giochi infantili (come È arrivato un bastimento carico di … o Fiori, frutti, animali, ecc.) o di giochi da tavoliere (come lo Scarabeo-Scrabble), di giochi da salotto come quello delle sciarade o di enigmistica, la caratteristica comune è la fuoriuscita dal discorso ordinario: non si tratta più di elementi eterogenei che ne interrompono il flusso, ma il linguaggio stesso cessa le sue funzioni comunicative per diventare campo e materiale di una costruzione artificiosa.

Le componenti più tipiche della maggior parte dei giochi di parole di secondo livello sono due, che possono essere compresenti o meno. La prima componente è la sfida: l’enigma a cui dare soluzione, il primato da battere (chi riesce a trovare il maggiore numero di parole con una data caratteristica), lo schema da riempire, la restrizione da rispettare; la seconda componente è la competenza combinatoria, che porta a selezionare una parola innanzitutto per le caratteristiche del suo significante e non (o solo secondariamente) per la pertinenza del suo significato.

In Italia la principale forma di gioco di parole di secondo livello, per diffusione e radicamento, è l’➔ enigmistica. Numerose altre forme, emerse nel corso della storia della lingua italiana ma diffuse specialmente dagli ultimi decenni del Novecento, vengono a volte raggruppate sotto l’etichetta (largamente arbitraria) di ludolinguistica. Sono giochi come: la collezione di parole contenenti cinque vocali tutte diverse (panvocalismo: aiuole, sequoia, surrealismo, freudiano); la composizione di anagrammi su nomi di personaggi famosi (onomanzia: Marco Antonio / antico romano); il reperimento o l’invenzione di parole dalle caratteristiche peculiari (palindromi lunghissimi: onorarono, accavallavacca; parole con la stessa sillaba ripetuta tre volte: capopopolo, patatata, non-onorevoli); la costruzione di catene di parole differenti per una sola lettera (metagramma: CAPO, caLo, cOlo, colA, CODA); la composizione di testi in cui una data lettera è assente (lipogramma: «Così di frequente un felino di genere femminile corre verso un cibo unto e succulento che pressoché di sicuro le succede di incorrere in dolorose perdite del suo corredo ortopedico»; la lettera evitata è la a), o in cui sono presenti tutte le lettere dell’alfabeto (pangramma: «Pranzo d’acqua fa volti sghembi»; Dossena 1990), o in cui ci si preclude l’uso di tutte le vocali tranne una (monovocalismo o omovocalismo: «All’alba Shahrazad andrà ammazzata»; Varaldo 1993).

4. Funzione del gioco di parole

Solo teorie psicologiche e teorie dell’umorismo, oltre a qualche affondo teorico nel campo retorico, si sono poste il problema di quale funzione possa avere l’attitudine umana a giocare con le parole. L’eterogeneità dei fenomeni che vanno considerati all’interno della categoria (ognuno, inoltre, poco importante di per sé) ha favorito un atteggiamento non unitario nei confronti di essa: come dire che una teoria del gioco di parole, semplicemente, non è mai esistita (almeno al di fuori della sua possibile specificazione arguto-umoristica o poetico-retorica). Eppure i principi cardinali dei giochi di parole appaiono sempre più importanti nella costituzione di alcune delle più notevoli attività linguistiche contemporanee, nell’ambito letterario, in quello del marketing (con le sue rilevanti proiezioni nel campo politico), in quello dell’intrattenimento: in ognuno degli ambiti, quindi, in cui si può articolare il mito contemporaneo della comunicazione, dal naming dei prodotti alla poetica dell’international style letterario.

Sugli assi della differenza / ripetizione (fonetica, e non solo), dello sdoppiamento semantico, della suggestione fonosimbolica (➔ onomatopee e fonosimbolismo), della manipolazione agonistica interlocutoria, dello scarto di registro si giocano battaglie di importanza cruciale, che una più adeguata e comprensiva estetica del gioco di linguaggio e della sua funzione potrebbe aiutare a osservare meglio.

(Fonte Treccani)