BULLISMO 7 Febbraio 2021 – Posted in: Parole
BULLISMO
Storia della parola «bullo»: oggi è un delinquente ma significava amico o fratello
Le parole, proprio come le persone, nascono, si sviluppano, magari fanno dei figli, godono di momenti di straordinaria notorietà, invecchiano e talvolta cadono nell’oblio.
Una parola che di questi tempi vive un grande successo è bullo: evidentemente abbiamo spesso bisogno di riferirci a teppistelli prepotenti e arroganti. Tanto è diffusa la parola, quanto è incerta e discussa la sua origine.
Olandese, tedesco, inglese
Molti la fanno discendere da una antica parola tedesca, bule, che significa «amico intimo». Significato positivo che però arrivando in Italia dal Veneto, proseguendo verso sud si sarebbe degradato fino a descrivere il giovane prepotente. Altri scomodano l’olandese boel (vuol dire fratello) che però non doveva comportarsi proprio bene se successivamente «invadendo» l’inglese avrebbe in qualche modo generato l’inglese bully (prepotente).
Le metamorfosi
L’unico concetto su cui sembra esserci un vasto consenso è la china discendente di questa parola da «buon ragazzo» a gradasso.
Non è certo l’unica. Una delle più note è proprio l’aggettivo bravo, che oggi utilizziamo per complimentarci con un bambino che ha svolto correttamente il proprio compito o per segnalare il suo ottimo comportamento.
O nei confronti di un atleta dopo una gara vittoriosa. Chissà se sarebbero altrettanto contenti, bambini e atleti, sapendo che quel bravo probabilmente deriva dalla latino barbarum (selvaggio, indomito), per influsso di pravum (malvagio).
Alessandro Manzoni aveva tentato di metterci in guardia, nei «Promessi sposi», scatenando i bravi, soldati mercenari al servizio di Don Rodrigo, contro il povero don Abbondio.
Certo conoscerne l’origine ci potrà fare comodo a teatro alla fine di uno spettacolo che magari non ci è piaciuto tanto. Se intorno a noi la platea applaudirà convinta, potremmo alzarci e gridare “bravo”, tenendo per noi, soddisfatti, il significato che preferiamo.
Vigliacchi
Nessun dubbio invece sul fatto che il bullismo rappresenti un problema: le sue azioni mirano deliberatamente a ferire le vittime, con violenza fisica e psicologica, soprusi e intimidazioni. La rivoluzione tecnologica ha messo a disposizione nuovi mezzi per questi comportamenti deviati che possono ampliarne di molto risonanza ed effetti (cyberbullismo).
Il meccanismo è invece perversamente semplice: il bullo sceglie una vittima tra i più deboli perché arroganza e violenza sono intimamente legate alla vigliaccheria.
E spesso è contornato e aiutato da una platea di complici che magari non imitano i suoi comportamenti, ma non li ostacolano e anche in questo caso – tranne meritorie eccezioni – non è certo il coraggio a prevalere.
La portata del fenomeno
É troppo vasta per essere relegata all’ambiente scolastico. La presenza massiccia di esempi negativi adulti fa sì che il bullismo sia entrato nelle dinamiche della nostra società contemporanea.
Il 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, vero e proprio «stato dell’arte» dell’essere italiani oggi, diffuso a dicembre 2018, sottolinea che siamo incattiviti per l’economia che non decolla, il patto sociale che si è rotto, e siamo in preda a «una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico».
Gli autori del sito unaparolaalgiorno.it nell’esaminare la parola bullo ci segnalano: «abbiamo fin troppe parole per indicare i giovani delinquenti, e per certo troppo poche per indicare gli amici cari». Hanno ragione.
(Fonte bit.ly/3aXfmjx)