Le parole del cibo nel Vocabolario degli Accademici della Crusca 28 Aprile 2021 – Posted in: Parole
Le parole del cibo nel Vocabolario degli Accademici della Crusca
Percorsi di cose e parole nella lingua del cibo
Quali sono le parole del cibo presenti nel Vocabolario degli Accademici della Cruscadel 1612?
Per rispondere alla domanda è necessario partire dal ruolo centrale che questa opera lessicografica ricopre nella storia linguistica italiana, perché il Vocabolario è stato un importante strumento identitario e un vero e proprio punto di riferimento nel corso del tempo.
Troveremo le parole del cibo nei testi fiorentini del Trecento che sono alla base del canone autoriale del primo Vocabolario: non solo i grandi capolavori letterari, ma anche le opere di autori minori e i testi dell’uso di quel secolo, con una certa apertura verso gli scrittori moderni del Quattro-Cinquecento.
Senz’altro una delle opere più citate nel Vocabolario nelle voci legate al cibo è il Decameron, anche se non mancano esempi tratti da altre opere di Boccaccio, come il Corbaccio («le zuppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate», s.v. lasagne).
Quando parliamo di cibo e di Decameron non possiamo non pensare al celebre passo che descrive l’abbondanza della contrada di Bengodi nella novella di Calandrino e l’elitropia (VIII, 3, 9: vd. Chiara Murru, Tra Bengodi e il Palazzo di Arnolfo), che i lessicografi della prima Crusca utilizzano anche in voci come salsiccia, formaggio, maccheroni, raviuoli, brodo.
Il riferimento a quel vino pregiato, il «fiumicel di vernaccia» che scorre nella contrada di Bengodi, è presente nelle voci bere e gocciolo, poiché la vernaccia è detta da Boccaccio la «miglior che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua».
Farina, cereali e pasta
Nel Vocabolario troviamo a lemma parole ancora oggi usuali, come pane (definito «cibo comunissimo»), farro, pasta, riso; e ancora cialda, presente sotto la voce farina, e i derivati cialdone e cialdoncino.
Tra i tipi di pasta ricordiamo lasagne (a lemma al plurale fino alla terza edizione, al singolare lasagna nella quarta e nella quinta), maccheroni e pappardelle. Varie testimonianze suggeriscono che anticamente i maccheroni potevano essere equiparati agli ‘gnocchi’, ma nella prima Crusca troviamo solo la definizione generica di «vivanda nota, fatta di pasta di farina di grano», senza altra specificazione. Invece, a partire dalla seconda edizione del Vocabolario (1623) i maccheroni vengono definiti come «vivanda nota, fatta di pasta di farina di grano, distesa sottilmente in falde, e cotta nell’acqua», e dunque vengono considerati simili a una ‘piccola lasagna’.
Anche le pappardelle vengono identificate con le lasagne e l’esempio riportato è il passo del Corbaccio: «E le pappardelle col formaggio parmigiano similmente»; in questo caso lessicografi aggiungono un particolare nella definizione: le pappardelle vengono infatti «cotte nel brodo della lepre».
Ma si tratta di un’informazione non ricavabile dal passo di Boccaccio e che probabilmente i lessicografi hanno ottenuto sovrapponendo al testo antico un uso culinario successivo (cfr. Frosini, Il cibo e i Signori, p. 63).
Carni (e derivati), volatili e pesci
Proseguiamo ora con il lessico relativo alle carni (e ai suoi derivati), ai volatili e ai pesci. Ecco alcune parole poste a lemma: arista, arrosto, presciutto, salsiccia; cappone, pippione, pollo, starna, tordo; sorra, storione.
Tra queste è interessante arista, che i lessicografi definiscono come la ‘schiena del porco’ e riconducono al greco ἄριστον («che vale bonissimo»).
Questo caso è particolarmente rilevante, in primo luogo perché l’etimologia di arista è stata molto discussa nel corso del tempo e poi perché si tratta di uno dei pochi casi in cui troviamo nel Vocabolariouna proposta di ricostruzione: fino alla quarta edizione, infatti, i lessicografi della Crusca non sono particolarmente interessati all’origine delle parole, ma preferiscono fornire solo le corrispondenze latine e greche dei lemmi.
Talvolta le parole del cibo sono anche l’occasione per un approfondimento sulle tradizioni: ne è un esempio la voce cappone, in cui si legge che il derivato capponata (e scapponata) è una festa contadina in cui si celebra la nascita di un figlio e per l’occasione si mangiano capponi.
In alcune voci i cruscanti danno giudizi che riguardano la mangiabilità e il gusto: tra i volatili, il tordo è «d’ottimo sapore» e la tordela è un uccello simile al tordo ma «men saporito», la starna ha un sapore «grato»; tra i pesci, lo storione è senz’altro «ottimo per mangiare».
Ortaggi, legumi, frutti, prodotti vegetali
Per questi settori vanno ricordati almeno i seguenti lemmi: aneto, che per poter essere distinto dal finocchio deve essere ben assaporato; cappero, buono se «confettato in aceto e sale»; castagna, che può essere arrosto o lessa: se arrostite, le castagne si chiamano bruciate, se lesse succiole; cedriuolo, da mangiare crudo d’estate; cocomero, di «grato gusto» nei mesi estivi; mellone, dalla forma simile alla zucca e dal colore e sapore simili al cetriolo; popone, definito solo frutta «notissima», con riferimento dunque all’uso popolare fiorentino e toscano; pastinaca, radice dal sapore acuto da mangiare cotta; pinocchio, da cui il derivato pinocchiato, che indica un dolce a base di zucchero e pinoli. Inoltre, sono presenti molti lemmi che non recano definizioni particolarmente interessanti, ma che rientrano nella sfera ‘cibo’, come cardo, cavolo, dattero, fava.
Preparazioni gastronomiche
Soffermiamoci ora sulle preparazioni gastronomiche, a partire dalla parola minestra, definita nel primo Vocabolariosenza altre specificazioni «acqua dove sono state cotte le cose lesse», per poi diventare nella seconda edizione (1623) una ‘vivanda di brodo con dentro pane o altro’; zuppa/suppa è invece ‘il pane inzuppato nel vino o in un altro liquore’ e a partire dalla terza edizione (1691) trova definizione anche zuppa lombarda, considerata però solo genericamente un ‘tipo di minestra’. Sono attestati inoltre berlingozzo (presente sotto la voce berlingare, insieme a berlingaccio, cioè l’ultimo giovedì di Carnevale), crostata, farinata, migliaccio, polenta, raviuoli, tortello (derivato da torta, secondo i lessicografi simile al raviolo, ma dalla forma più rotonda).
Concludiamo con il fritto, ben documentato nel Vocabolario della Cruscacon sostantivi come fricassea, frittella, frittume, frittura, verbi come friggere e rifriggere e l’aggettivo fritto (per esempio nell’espressione pesce d’Arno fritto tratta dal Decameron).
Le edizioni successive del Vocabolario
Nella seconda edizione del Vocabolario(1623) fanno il loro ingresso voci come ciambelletta, cipollata, crespello (simile a una frittella), fegatello (cotto arrosto), frittata, porrata, zuccherino; inoltre viene arricchita la voce vermicello con il riferimento al tipo di pasta filiforme (vermicelli). Nella terza edizione (1691) entra a lemma biancomangiare, definito un tipo di vivanda fatta con farina e zucchero cotti nel latte, oltre a parole come braciuola, caviale, sanguinaccio, stufato, zimino; nella quarta Crusca (1729-1738) si registrano frattaglie, mortadella (fin dalla prima edizione a lemma c’è mortadello) e viene aggiunta sotto la voce pane la forma pane/pan pepato.
L’ampliamento più consistente del lessico del cibo si ha con la quinta e ultima edizione del Vocabolario (1863-1923), in cui fa la sua comparsa gastronomo (insieme a gastronomia e all’aggettivo gastronomico) e si registrano parole moderne come bistecca («Dall’inglese beefsteak, composto di beef, bove, e di steak fetta»), appena acclimatata in italiano, budino, cacciucco, fegatino; inoltre sotto la voce cappelletto compare per la prima volta il valore legato al tipo di pasta e a girello viene attribuito il senso di ‘taglio di carne bovina’.
Infine, fa il suo ingresso nella quinta Crusca l’espressione forse più adatta a concludere questo “viaggio” tra le parole del cibo: «Dicesi comunemente di cosa di gusto eccellente a mangiarsi, che essa è cosa da leccarsi i baffi».
(Fonte bit.ly/3vt8brY)