STICAZZI 10 Novembre 2020 – Posted in: Parole – Tags: #gigiproietti, #parolacce, #parole
La sua popolare trivialità (letteralmente, è contrazione di ‘questi cazzi’) ha spesso una portata olofrastica, cioè sintetizza da sola il senso dell’intera frase che si pronuncia.
Il problema è che l’uso dialettale originario e i nuovi usi nati nel vasto panorama nazionale hanno significati quasi diametralmente opposti, ne fanno in pratica un’enantiosemia (ricordate?).
I romani ce l’hanno portata in dote col significato di un ‘non me ne importa’ decisamente sprezzante, tranchant.
«Sai, vado una settimana a New York» «Sticazzi», «Ho comprato un’auto nuova» «Sticazzi», «Sei in ritardo con la consegna» «Sticazzi, aspetteranno».
Il riferimento è il solito, quasi ermetico, ai genitali – elementi anatomici che per complesse, archetipiche ragioni, sopra ogni altro sono veicoli di significato.
Nel passaggio al nord invece lo ‘sticazzi’ sembra aver perso la sua brusca malizia, diventando una genuina espressione di ammirazione, di meraviglia, di stupore.
Il romano trasecola: per questo significato stupito c’è l’espressione ‘me cojoni’, letteralmente ‘mi coglioni?’.
Il verbo ‘coglionare’, ingentilito nella sua trivialità dalla desuetudine, ha il significato di ‘prendere in giro’, e quindi quest’espressione prende il profilo di un ‘non ci credo’, ‘straordinario!’ o via dicendo.
È vero, si tratta di un mutamento fisiologico: nella famiglia nazionale il termine che il dialetto porta in dote può essere usato in modo nuovo, e non c’è niente di strano. Ma è anche vero che nell’economia di un dialetto le parole, anche quelle più aspre e spigolose, acquistano un certo equilibrio: una volta sradicate di rado lo mantengono.
In altre parole, lo ‘sticazzi’ non romano rischia di scivolare nel pendio della volgarità gratuita.
Mentre quello originale resta di una trivialità armonica con le logiche scanzonate e spesso ruvide del romanesco.