DONNA CHE MOVE L’ANCA SI N’È MIGNOTTA POCO CI MANCA 1 Febbraio 2021 – Posted in: V.M.18
Mignotta è un termine dispregiativo del dialetto romanesco per indicare
una persona che vende il proprio corpo o la propria dignità in cambio di denaro (in questo caso prostituta, meretrice, puttana) o di favori, oppure per entrare nelle grazie di qualcuno anche a discapito di altre persone. Ha quindi valore di più sinonimi.
Etimologia
Nel linguaggio corrente
Nella poesia del Belli
- brutta figlia di mignotta, brutale insulto contenuto nel sonetto n. 664, Mamma scrupolosa;
- Porca mignotta!, esclamazione di rabbia (o rassegnazione) contenuta nel sonetto n. 1533, Sentite che ccaso;
Nell’opera del Belli, il termine mignotta assume molteplici significati e sfumature, in funzione del contesto in cui è inserito.
Nel sonetto n. 405, Com’ar mulo sei parmi lontan dar culo, il Belli usa l’espressione romanesca “fijji de mignotta”, come espressione di sommo disprezzo nei confronti dei cardinali cattolici (“pelo rosso”, ovvero “porporati”). Così pure nel sonetto n. 1002, Er pover’omo, dove un ecclesiastico dà dello “scansafatiche” ad un pover uomo, che lavora tutto il giorno per sopravvivere, mentre “loro“, gli ecclesiastici, non sanno far altro che farsi portare in carrozza, mangiare, bere e fottere (nel duplice significato di fare sesso e truffare), e quindi sono chiamati “fijji de miggnotte“, in quanto, per furbizia e per cinismo, riescono a convincere gli altri a lavorare al posto loro mentre loro fanno la bella vita.
L’espressione può anche essere equivalente a “poveri cristi”, come nel sonetto n. 937, Lo stato d’innoscenza, dove noi, “poveri fijji de miggnotte”, noi persone comuni, siamo innocenti: non siamo noi i responsabili del Peccato originale, bensì Adamo ed Eva.
Allo stesso modo, ma in senso ironico, nel sonetto n. 2121, La vita da cane, l’autore, per convincere il lettore di quanto sia dura la vita da Papa, domanda beffardamente: «Chi passa tutto il suo tempo a discutere con Dio Padre Onnipotente? A chi tocca dare l’assoluzione a così tanti “figli di mignotta”? Chi è che concede le indulgenze (ma è sottinteso: chi è che le vende?)? Chi la fa la fatica di andare in carrozza per benedire la gente (si intende: che lavoro duro! Che vita da cane!)?». In questo caso, l’espressione indica una grottesca inversione dei ruoli, dove le vittime della prepotenza papale diventano “figli di mignotta”, persone indegne ed ingrate, mentre il carnefice, il Papa, diventa un sant’uomo che, con generosità e sacrificio, si occupa del benessere dei suoi sudditi.
Nel sogno di un calzolaio che fantastica di diventare Papa per tre giorni, e di poter quindi fare ciò che vuole senza alcun limite (sonetto n. 1123, Er carzolaro) il Belliutilizza l’espressione per sostenere, forse con cinicosarcasmo, idee di democrazia, egualitarismo e libertà, con sfumature lievemente anarcoidi: «Gli uomini, ricchi o poveri che siano, son tutti uguali. Dunque vadano tutti a piedi (e nessuno si faccia portare in carrozza!), tutti son figli di mignotta. E allora tutti lógorino le scarpe e gli stivali (ma ci sarà sempre un calzolaio a ripararle!)»
Un sonetto che il Belli dedica esplicitamente al meretricio è il n. 616, Er commercio libbero, in cui la prostituta, che non prova affatto vergogna per il proprio mestiere, non si lamenta d’altro che di quelle donne che, osservando il lucro derivante da tale attività, le fanno indirettamente concorrenza, fingendo di essere grandi dame ma sottraendole danarosi clienti:
(it(ROM))«Bbe’! Ssò pputtana, venno la mi’ pelle: fo la miggnotta, sí, sto ar cancelletto: lo pijjo in cuello largo e in cuello stretto: c’è ggnent’antro da dí? Che ccose bbelle!Ma cce sò stat’io puro, sor cazzetto, zitella com’e ttutte le zitelle: e mmó nun c’è cchi avanzi bajocchelle su la lana e la pajja der mi’ letto.Sai de che mme laggn’io? nò dder mestiere, che ssaría bbell’e bbono, e cquanno bbutta[11] nun pò ttrovasse ar monno antro piascere. Ma de ste dame che stanno anniscoste |
(IT)
«Beh! Sono puttana, vendo la mia carne: Ma anch’io sono stata, signor cazzetto, Sai di che mi lamento io? Non del mestiere, Ma di queste signore che rimangono nascoste |
Fonte Wikipedia |